"Venezia è in acqua e non ha acqua", scriveva Marin Sanudo nel 1500. Infatti Venezia era circondata dall’acqua salata ma doveva reperire l’acqua potabile e non avendo, per le caratteristiche idro-geologiche, una falda dalla quale attingere, si ingegnò costruendo pozzi per la raccolta dell’acqua piovana.
L'opera è stata realizzata dalla confraternita dei pozzeri, appartenente alla confraternita dei massoni, ed è stata finanziata da privati, sotto il controllo e la gestione delle autorità cittadine.
Il governo della Repubblica ha trascurato la costruzione di pozzi, la fornitura di acqua dolce (proveniente anche dal fiume Brenta in quanto l'acqua piovana non sempre era sufficiente) e le ispezioni sanitarie, affidando le chiavi delle cisterne ai cittadini o ai sacerdoti che dovevano aprirle due volte al giorno e controllare la qualità dell'acqua.
La "Vera"
La parola "vera", è un termine tipicamente veneziano che definisce la testa del pozzo, la pietra che ricopre il pozzo stesso. All'inizio si utilizzavano materiali riciclati, portati dalle rovine della città di Altino.
Per questo motivo i pozzi più antichi hanno la parte superiore in pietra composta da capitelli e sezioni di colonne. Molti di questi "vera" mostrano effigi della famiglia che ha fatto costruire il pozzo. Il più grande vera si trova a Campo San Polo e misura 320 cm di diametro. Nel 1800 il censimento contava circa seimila pozzi, ma dopo il 1884, con la costruzione di un vero e proprio sistema di approvvigionamento idrico, molti pozzi furono demoliti, soprattutto quelli in mattoni. Oggi Venezia conta circa 600 pozzi, nessuno dei quali è in uso.
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